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  • Immagine del redattoreMarco Cencio

Doctrinas bello aptare

L’importanza di avere una dottrina: tra il presente ed il futuro due casi emblematici[1]

Studiando alla scuola di applicazione, ogni giorno passo sotto lo stemma della scuola dove campeggia il motto “Doctrinas bello aptare” che in italiano si può tradurre con “Adattare le dottrine alla guerra”. Il suo scopo è ricordare quale sia l’importanza di avere una dottrina bellica che sappia cogliere gli aspetti presenti e che sappia anticipare quelli futuri, l’importanza dunque di possedere una dottrina efficace e performante, costantemente aggiornata alle sfide presenti e con attenzione a quelle future. Per raggiungere tale scopo, si deve innanzitutto mostrare il perché si debba avere una dottrina, attraverso una panoramica di quelle più recenti e le sfide future per le Forze Armate oltre al collegamento diretto che si instaura tra il possedere una cultura strategia e un pensiero strategico che generano poi una dottrina (come accennato nel commento breve di questa mattina).


FIGURA 1: VIGNETTA DI ALEXEI IORSH, VIGNETTISTA DI “RUSSIA BEYOND THE HEADLINES”

Si deve però partire da una necessaria premessa introduttiva per creare una cornice conoscitiva di base per meglio inquadrare il nocciolo della questione. Partiamo dal significato di “dottrina” e per fare questo userò una metafora. Questa disciplina militare è da intendersi come l’elemento “software”, ovvero il pensiero da applicare in guerra o, in maniera più edulcorata, in combattimento, il quale però da sola non è sufficiente, ma è necessario assieme l’elemento “hardware”, cioè fisico, ovvero le armi, la tecnologia, l’equipaggiamento, i materiali ed altri elementi tangibili. Così come la componente “hardware” e “software”, anche la dottrina si evolve e cambia nel tempo, individuando sempre nuovi obiettivi e nuove prospettive e questi cambiamenti avvengono perché i possibili opponenti e gli obiettivi strategici e politici delle singole nazioni o delle organizzazioni internazionali e delle alleanze si evolvono e si trasformano. Se si vuole una definizione più rigorosa invece, essa la si può definire come “il complesso dei principi fondamentali che informano le azioni condotte dalle Forze armate per il conseguimento di obiettivi. Ha carattere autorevole, ma la sua applicazione richiede capacità di giudizio”[2]. Ne consegue dunque che questa disciplina è volta a fornire allo stesso tempo una chiave di lettura e una codificazione corretta di come comprendere, pianificare e condurre un’attività militare. Questa non può prescindere da fattori “interni”, quali equipaggiamento e personale militare, sia da fattori “esterni”, tra i quali la geografia ed aspetti socio-economici, interagendo così con tutte le altre cinque branche dell’Arte militare (la strategia militare, l’arte operativa, la tattica militare, l’organica militare e la logistica militare). Per la sua natura di insieme di principi fondamentali e insieme complesso di fattori differenti, la dottrina ha come sua caratteristica rilevante il costante aggiornamento e mutamento di essa.


Ancora aggiungere è il collegamento tra dottrina militare e dottrina politica la quale, a sua volta, si ricollega al concetto strategico del Paese o dell’Alleanza che ha il compito di dare un orientamento agli sforzi del Paese (o dell’Organizzazione) e portare ad una pianificazione delle forze con una prevalenza a quelle militari se ci troviamo in un’alleanza come la NATO, il cui concetto strategico ha poi anche una funzione di auto-presentazione e di confidence-building nei confronti dei paesi partner e, in genere, dei paesi terzi. Come può risultare lampante, il concetto strategico ha le sue fondamenta nell’autorità politica, la quale fissa gli obiettivi e definisce la minaccia ed è lungo le linee guida tracciate che si evidenzia ulteriormente quanto sia importante avere una dottrina, che non può non essere una delle emanazioni della politica estera e di difesa di uno Stato.

Si può ora, delineata la definizione di dottrina e ciò che si intreccia con essa, rispondere, affermativamente, al quesito che ci eravamo posti in precedenza, ovvero se sia importante avere o meno una dottrina, concetto questo che può non essere solo una prerogativa militare ma anche essere ampiamente impiegato in ambito diplomatico e politico per indicare la formulazione della politica estera di uno Stato, il cui concetto di dottrina indica l’insieme delle direttive alle quali lo Stato (o l’Alleanza se ci troviamo in un’organizzazione internazionale come la NATO) si terrà fedele relativamente a determinati settori delle relazioni internazionali come, per esempio, fecero la dottrina Monroe o il Roll Back.


I due esempi esemplificativi


Come precedente accennato, al fine di non rimanere vago e superficiale, porto due esempi vicini al nostro presente, attuali ed estremamente importanti, così da meglio mostrare quanto sia importante avere una dottrina.


La ULO o Unified Land Operations


FIGURA 2: COPERTINA DELL’ARMY DOCTRINAL PUBLICATION 3-0

Con l’Army Doctrinal Publication 3-0 (noto anche come ADP) del 2011 gli Stati Uniti introdussero un nuovo concetto operativo per il futuro, grazie al quale le Forze armate fossero preparate per operare nel contesto attuale, integrando le proprie azioni con partner inter-agenzia e multinazionali come parte di un impegno più profondo ed ampio. Nell’introduzione del documento, ad opera del Generale Raymond Odierno, la ULO, cioè la Unified Land Operations, venne/viene definita come “un naturale prodotto intellettuale delle passate dottrine” (in particolare della AirLand Battle, dottrina americana in uso durante la Guerra fredda). La definizione, che viene più volte riportata nel documento, mostra come la ULO sia l’impostazione attraverso la quale “l’Esercito coglie, mantiene e sfrutta l’iniziativa per guadagnare e mantenere una posizione di relativo vantaggio nelle operazioni di terra, sostenute simultaneamente attraverso operazioni offensive, difensive e di stabilizzazione, per prevenire o scoraggiare il conflitto, prevalere in guerra e creare le condizioni per una favorevole risoluzione del conflitto”[3]. Vengono quindi impiegate le migliori idee delle passate dottrine, implementando il concetto di azioni congiunte tra Esercito, agenzie e enti internazionali. Un’ulteriore aggiunta significativa della ULO è il focus su come mantenere l’iniziativa e la sicurezza per le proprie unità, introducendo la combined arms maneuver e la Wide area security. Il primo concetto viene definito come “l’applicazione degli elementi del combat power in azioni unificate al fine di sconfiggere le forze terrestri nemiche, prendere, occupare e difendere porzioni di terreno, acquisendo vantaggi fisici, temporanei e psicologici sul nemico”. Il secondo invece fa riferimento a quegli elementi del combat power atti a proteggere la popolazione, le forze, le infrastrutture e le attività, negando al nemico posizioni di vantaggi, consolidandole al fine di mantenere l’iniziativa”. Combinando assieme queste due competenze, si fornisce ai comandanti uno strumento cognitivo per orientare il proprio combat power.

Il testo stesso della pubblicazione, inoltre, evidenzia come la loro applicazione debba riferirsi ad ogni scaglione dell’Esercito. Per finire dunque, è evidente come la Unified Land Operations sia un collegamento - ed una fusione - tra due precedenti dottrine, la AirLand Battle e la Full Spectrum Operations, combinando tra loro l’iniziativa, i nuovi concetti operativi e il mission command.


La ULO è la risposta dell’Esercito americano alle sfide di oggi e degli anni a venire, rappresentando infatti un fondamento per un ulteriore sviluppo della dottrina. Soprattutto nell’ultimo anno, inoltre, questa dottrina è stata aggiornata con le più moderne riflessioni ed i più recenti studi sulle rapide evoluzioni tecnologiche, sociali e politiche dei giorni nostri, come per esempio i concetti elaborati al fine di acquisire il dominio nella dimensione cyber.


La dottrina Gerasimov


Prima di addentrarci nello specifico della dottrina, vorrei dedicare alcune righe al concetto chiave che sta alla base di questo secondo esempio, ovvero la hybrid warfare (o guerra ibrida in italiano), al fine di facilitare, a mio avviso la comprensione del concetto di dottrina del generale russo Gerasimov.


FIGURA 3: IMMAGINE PROVENIENTE DAL SITO DEL MUNICH SECURITY CONFERENCE

La guerra ibrida è un concetto relativamente recente, sorto grazie alla complessità della società moderna attraverso l’interconnessione sempre più profonda tra quasi tutte le attività umane. Tale complessità ha portato, in ambito militare, a un variegato ed ampio range di attività che viene chiamato appunto guerra ibrida, la quale può essere condotta sia da Stati sia da attori non statali. Tale tipologia di guerra incorpora al suo interno una vasta gamma di modi differenti di fare la guerra, comprendendo sia gli aspetti più convenzionali sia tattiche e formazioni irregolari sia atti ed azioni criminali. Questa tipologia di guerra viene condotta da alcune note formazioni come Hezbollah, Hamas, Al-Qaeda e le formazioni di mujāhidīn. La guerra ibrida però si è sviluppata ed è stata, per così dire implementata ed estesa, non solo dalle formazioni prima citata ma anche dagli Stati stessi ed in aggiunta anche da singoli individui, che hanno percepito la forza di tale concetto. Si è così giunti alla celeberrima definizione dei due colonnelli cinesi, Qiao Liang e Wang Xiangsui, di “guerra senza limiti” che si basa sulla combinazione di risorse e mezzi anche, e soprattutto, non militari come quelli economici, finanziari, politici e pure quelli relativi all’informazione. Per i due militari infatti la guerra non è solo più confinata alla sfera militare ma, come oggi possiamo appurare tranquillamente, confermando così la loro previsione, riguarda anche altri ambienti delle attività umane, come mostra la figura 3.


Introdotto questo concetto e mostrata la trasformazione che la guerra ha subito, il secondo esempio consiste in un contributo molto interessante ed attuale, nato da studi e esperienze dirette, il quale è stato presentato nel 2014 dalla Russia con la pubblicazione e la successiva adozione di quella che possiamo definire “Dottrina Gerasimov”, dal nome del generale russo che l’ha esposta e scritta. La Russia infatti, a livello internazionale, ha nuovamente cominciato a muoversi ed a tornare protagonista o, quanto meno, ad essere un attore importante di cui avere considerazione. Non è tuttavia interesse di questa analisi valutare e commentare i motivi che stanno portando questo Paese alla sua nuova politica estera, quanto invece concentrarsi sulla metodologia impiegata ed il pensiero che stanno dietro alla dottrina.


La nuova dottrina militare russa è importante perché intercetta e anticipa le evoluzioni più recenti in campo militare e per quanto attiene al puro warfight odierno.

Innanzitutto, tale dottrina sovverte l’idea, meramente sovietica, della grande forza d’impatto composta da grandi unità di mezzi corazzati supportati da artiglieria e da attacchi aerei, per lasciare il posto a un esercito più flessibile, non trascurando, ma anzi enfatizzando allo stesso tempo la componente altamente tecnologica, spingendo per una maggior presenza di mezzi nuovi ed all’avanguardia. Si pensi per esempio alle nuove classi di sottomarini, come la classe Yasen, classe di sottomarini nucleari d’attacco, al programma di un intercettore stealth, il celebre Sukoi Su-37 meglio noto come T-50), oppure all’entrata in servizio di un nuovo sistema missilistico antiaereo mobile, l’S-400.

Senza trascurare il potenziale nucleare in possesso della Federazione russa, e dei sistemi d’arma prima, il documento parla inoltre di una guerra asimmetrica o meglio, ibrida. Questa si basa su quattro elementi teorici di fondo: il dominio informatico-informativo, l’integrazione tra lo strumento militare e quelli politici, economici e sociali, il superamento dei concetti di guerra difensiva e guerra offensiva a favore di una “difesa attiva” e infine il non considerare più i tradizionali concetti di tattica e strategia, lavorando sulla durata e sull’intensità delle campagne militari (se queste dovessero risultare necessarie).

In particolare, il dominio informatico-informativo non mira soltanto a interferire con il sistema di comando e controllo dell’avversario, ma cerca anche di influenzare politicamente la popolazione tramite l’uso dei nuovi mezzi di comunicazione, come i social network, demoralizzando il possibile opponente e dividendolo al suo interno, acquisendo, allo stesso tempo, dati di intelligence sotto forma di informazioni militari, politiche ed economiche. L’integrazione tra gli strumenti militari, politici ed economici, inoltre, permette di effettuare pressioni (politiche ed economiche). Il concetto di una difesa attiva o proattiva all’estero, si riferisce alla tutela degli interessi russi all'estero attraverso la creazione, per esempio, di task-force oppure l’invio di soldati che partecipano a missioni di peacekeeping o di interposizione. Per superamento dei tradizionali concetti di tattica e di strategia infine, si fa riferimento a quelle idee tipiche dell’ambiente militare russo, a favore ora di forze numericamente più piccole di quelle del passato, impiegandole in campagne militari di breve durata e molto rapide, lasciando che le pressioni di lungo periodo siano affidate a strumenti di natura politico-economica.


La riforma militare russa stupisce per la previsione degli scenari futuri, essendo stata redatta nel 2013-2014 e poi applicata efficacemente in Crimea, in Siria e nel Donbass.

Nello specifico, la dottrina Gerasimov riconosce infatti che le regole di guerra siano cambiate e che quindi è esponenzialmente cresciuto il ruolo di mezzi non militari per conseguire fini politici e strategici. Sussistono poi altri punti rilevanti, i quali si focalizzano sull'importanza della scienza e della tecnologia nella previsione strategica. Gerasimov pertanto punta sull'implementazione del pensiero strategico, indirizzandolo verso nuove attività scientifiche che possano determinare, innanzitutto, nuovi requisiti per la sicurezza globale, e poi, tramite le esperienze attuali, studiare le possibilità di integrazione tra le diverse forze militari e non militari. Il ruolo della scienza nella previsione strategica permette quindi di studiare gli effetti e le conseguenze degli attuali scenari per saper prevenire o quanto meno ipotizzare dei possibili sviluppi degli scenari, i quali al giorno d’oggi sono ancora ben difficili da decodificare.

La dottrina si presenta molto performante e particolarmente flessibile alle più diverse situazioni a cui può andare in contro e queste sue caratteristiche, a mio parere, ci permettono di domandarci se non siamo di fronte ad un nuovo volto della guerra, volto che ha mostrato la sua forza e la sua potenza non solo in scenari quali la Crimea, il Donbass e la Siria ma bensì anche in altri Paesi dal contesto geopolitico estremamente diverso. Si pensi per esempio ai Paesi Baltici con la loro importante minoranza russofona all’interno dei loro confini ma anche ai Paesi che, pur non avendo una minoranza russofona rilevante, lamentino una paura nei confronti della Russia per il suo peso economico, politico e militare.


Ma questo nuovo volto quali fattezze sta assumendo?


Conclusioni:

Un (ennesimo) nuovo volto della guerra? L’importanza, dunque, di avere una dottrina


Il punto di arrivo consiste dunque nel rispondere alla seguente domanda: “Quale futuro per la guerra?” o meglio, “Quale nuovo volto?” È evidente come il solco tracciato dalla hybrid warfare sia indelebile e, di conseguenza, assai difficile ipotizzare una guerra puramente convenzionale, la quale risulterebbe estremamente inefficace oltre che rappresentare una tragedia per l’umanità nel suo complesso.

La forma ultima che la guerra ha assunto è quindi quella che implica mezzi di natura non militari in prima battuta e successivamente quelli militare ad alto tasso tecnologico (il quale si porta dietro un non indifferente aspetto relativo al costo di acquisizione e di manutenzione dei nuovi mezzi e tecnologie). Tuttavia, sembra forse opportuno affermare il fatto che siamo ancora in una fase intermedia di un processo di digitalizzazione del campo di battaglia e di un suo conseguente ampliamento, esistendo allo stesso tempo sia progetti di creazioni di forze digitalizzate ed interconnesse sia implementazioni delle difese informatiche, sia infine di attacchi informatici frequenti alle più diverse strutture, governative e non.

Questo è, in definitiva, lo scenario futuro che ci attende e del quale una dottrina dovrebbe tenere conto? In parte sì, in parte no. Forse il vero punto ultimo dell’evoluzione della guerra ibrida e, senza bisogno di scriverlo tra le righe, uno dei punti conclusivi presenti nella dottrina Gerasimov è quella tipologia di guerra che io definisco “guerra disambigua”. In cosa consisterebbe dunque tale nuova forma di guerra? Il concetto chiave risiede nel significato di disambiguità, ovvero “quel processo con il quale si precisa il significato di una parola o di un insieme di parole (frase), che denotano significati diversi a seconda dei contesti e che quindi sono ambigue”[4]. Tale guerra è dunque talmente modellabile e adattabile che si può manifestare sia come mezzi e forme di intervento e sia come obiettivi, ovvero tale tipologia di guerra, intesa come somma di azioni belliche, può essere adattata contro ogni avversario in quasi ogni situazione possibile. La modularità e i risultati ottenibili si sommano alla difficile definizione e demarcazione dei contorni di questa tipologia di guerra, motivo per cui risulta ancora più evidente l’importanza di una dottrina moderna ed altamente performante rispetto alla realtà odierna.


Esiste poi un nuovo, e forse per questo maggiormente imprevedibile e preoccupante, aspetto evolutivo della guerra. Questo prende il nome di cyberwarfare, o guerra cibernetica, ed ha in comune diversi concetti con l’information warfare, aspetto particolarmente presente nella guerra disambigua, caratterizzandosi però per un elevato grado di aggressività e per l’ampia portata dei danni che può causare, superiori all’information warfare. Una guerra cibernetica, pertanto, non si limita alla propaganda, allo spionaggio o all’interrompere la rete informatica-informativa, come invece accade nell’ information warfare (ma che qui non sarà trattata in toto ma a questa sarà riservato un articolo nella sua interezza), ma attacca tutte le strutture ed i mezzi elettronici infettabili, ad ogni livello dal computer fisso di un privato ai server di un’agenzia o di uno Stato. Come l’information warfare, anzi maggiormente, non sono solo gli Stati a poter operare attraverso tale nuovo campo di battaglia, ma anche e soprattutto agenzie, organizzazioni private, gruppi criminali e terroristici e perfino singoli cittadini.


L’importanza della dottrina, essendo per sua natura altamente suscettibile alle innovazioni, alle nuove idee ed ai nuovi scenari è, per concludere, mostrata nella sua totalità. Essa, infatti, ha le sue fondamenta in un’analisi concettuale della realtà, attraverso uno studio ed una conoscenza profonda dei fenomeni passati, presenti e futuri, Inoltre, rappresenta l’indirizzo politico e strategico per un Paese (e per i suoi Alleati), indirizzo lungo il quale tendere per vivere nella società internazionale, per non farsi trovare impreparati allo scoppio di crisi internazionali, predisponendo le Forze al combattimento e le procedure di impiego, riuscendo così a proiettarsi efficacemente in un eventuale teatro delle operazioni (qualunque esso sia e qualunque forma assuma), avendo sempre uno strumento militare moderno e capace di saper cogliere e risolvere le difficili sfide attuali. Infine, nel redigerla, un ruolo importante può essere ricoperto dal mondo universitario militare e civile, il quale può rappresentare un serbatoio di idee e prospettive nuove utili per il complesso lavoro concettuale di stesura e di analisi.

In conclusione, non rimane che sottolineare quanto sia importante l’aspetto concettuale, e quindi la conoscenza, nella stesura della dottrina. La conoscenza è un aspetto oggi fondamentale se si vuole essere coscienti delle realtà umane e delle capacità esprimibili da ognuno di noi e dalla tecnologia di cui disponiamo, oltre che rappresentare uno dei principi fondamentali dell’arte della guerra, cioè quell’insieme di principi a cui il mondo militare (e non solo) si ispira e su cui è fondato. Se si trae conoscenza dalle informazioni che ci giungono, vagliandole e opportunamente inquadrarle nel quadro geopolitico attuale allora, come ha evidenziato e teorizzato Sun Tzu nel VI secolo avanti Cristo, un conflitto, una guerra o una battaglia possono essere vinti ancora prima di cominciare se però, appunto, possediamo la conoscenza e, grazie a questa, lo strumento, cioè la dottrina, per affrontare le sfide del presente e del futuro.

La conclusione più opportuna può quindi (e deve) essere lasciata al punto 18 del III capitolo del “Binfa”, cioè “L’arte della guerra”, di Sun Tzu:

<<Di qui il detto: se conosci il nemico e conosci te stesso, non hai bisogno di temere il risultato di cento battaglie. Se conosci te stesso, ma non il nemico, per ogni vittoria ottenuta soffrirai anche una sconfitta. Se non conosci te stesso né il nemico, soccomberai in ogni battaglia.>>





[1] L’intero articolo è un adattamento, revisione ed un “ammodernamento” in alcuni tratti della mia tesi di laurea dal titolo “La dottrina tra passato, presente e futuro” (https://www.academia.edu/34167041/_LA_DOTTRINA_TRA_PASSATO_PRESENTE_E_FUTURO)


[2] Definizione tratta dal “Glossario dei termini e delle definizioni”, indicato anche come SMD-G024, glossario prodotto dallo Stato Maggiore della Difesa


[3] Il testo originale, leggibile a pagina 1 dell’ADP 3-0 recita “the Army seizes, retains, and exploits the initiative to gain and maintain a position of relative advantage in land operations sustained through simultaneous offensive, defensive, and stability operations in order to prevent or deter conflict prevail in war, and create the conditions for favourable conflict resolution”


[4] Definizione tratta da Wikipedia (https://it.wikipedia.org/wiki/Disambiguazione). Concetto utilizzato in linguistica per evidenziare come una stessa parola (o una frase) possa avere significati diversi a seconda del contesto in cui si trova


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