Lo studio dei diversi aspetti caratterizzanti la sicurezza e la politica internazionale è diventato un’esigenza quasi imprescindibile, nel settore pubblico così come in quello privato, a tal punto che gli esercizi di scenaristica e le analisi di rischio politico vengono sviluppati sia dai governi, che dalle grandi aziende e dai Think Tank i quali, in aggiunta, hanno la mission di divulgare letture e chiavi interpretative dei fatti che accadono nel mondo. Un esempio di questo si può individuare nell’Unione Europea, si pensi alla PeSCo o al Fondo Europeo di Difesa, i quali richiedono la centralità degli studi di sicurezza (security studies) e strategici (strategic studies).
L’analisi qui di seguito vuole sondare due differenti aspetti collegati tra loro dal fatto che il primo corrisponde alla materia che viene studiata (gli studi strategici e di sicurezza e più in generale le relazioni internazionali, economiche e geopolitiche). Ma cosa sono gli studi strategici e di sicurezza Per capirlo dobbiamo andare a sondare il legame tra questi e le relazioni internazionali. Il secondo aspetto invece corrisponde ai già citati Think Tank.
Relazioni internazionali e studi strategici
Iniziamo la trattazione con l’identificare il fatto che gli studi strategici sono una filiazione della disciplina accademica Relazioni internazionali (per la quale quest’anno si celebrerà il centenario, in quanto nata formalmente nel 1919 in Galles). Non è tuttavia sempre semplice liberarsi dai possibili equivoci, fraintendimenti, semplificazioni e misunderstanding sugli stessi termini di base della materia: la sicurezza e la strategia.
Rispetto alle principali minacce alla stabilità internazionale, dal terrorismo alla minaccia cyber, gli attori, così come le minacce, le cause e le soluzioni possibili ai problemi, sono ormai multi-livello, cioè questi possono essere statuali, sub-statuali, industriali, Think Tank, pirati veri e propri oppure quelli informatici. In tutto ciò, le Organizzazioni Internazionali continuano a giocare un ruolo rilevante, sostanziando operazioni civili e militari di portata complessa tra aspetti politici, tecnico-operativi, etici e legali.
In un quadro così complesso come quello odierno si rileva che buona parte della letteratura di riferimento sulla scena mondiale degli studi strategici per analizzare, studiare e capire le situazioni odierne, è anglofona. Da Alan Collins al volume Strategic Studies oppure a Paul Williams, con il volume Security studies: An introduction. Altri autori che possono essere citati sono Bernard Brodie, Hew Strachan o Lawrence Freedman, Michael Doyle, Kenneth Waltz ed Edward Luttwak. Sono solo alcuni nomi di autori molto famosi e conosciuti di origine anglofona o naturalizzati. Si possono trovare anche autori francesi tuttavia come David Galula, Luciern Poirier oppure Hervé Coutau-Bégarie, ma sono una specie di eccezione alla regola. Esistono però ovviamente autori di un’elevata caratura anche nel nostro Paese, si pensi a Carlo Jean per esempio.
Quello degli strategic e security studies è un campo di studi che ritengo possa essere un settore di cui l’Italia debba fiera, grazie all'impegno e agli studi di chi al suo interno vive e lavora, ma allo stesso tempo però debba anche avere la volontà di potenziare, implementare, sfoltire da inutili fronde, sia nel caso in cui possano essere think thank sia in quello che fa riferimento a corsi universitari e lauree, piccola e minoritaria in Italia, di cui sono molto felice di fare parte.
Per soddisfare questo requisito di potenziamento, a mio modo di vedere, può venire in aiuto il secondo soggetto di questa analisi: i Think Tank. Ma cosa sono questi Think Tank e come possono essere utili?
I Think Tank
Come appena detto, anaizziamo il secondo soggetto di questa analisi, rispondendo alle domande che ci siamo posti.
Che cosa sono i Think Tank? Come e perchè possono essere utili?
Se vogliamo tradurre letteralmente, il termine "Think Tank", possiamo definirli come serbatoi di pensiero, o pensatoi. Tale traduzione letterale ci permette di evidenziare il loro ruolo più antico e il più importante ovvero quello di mettere le proprie idee a servizio dei decisori politici, orientarne il lavoro e fornire loro gli strumenti e le conoscenze per prendere provvedimenti su temi chiave. Questo loro ruolo inizia con lo studio svolto sulle tematiche in esame e con la ricerca sul campo, interagendo costantemente anche con varie e diverse realtà, dalle istituzioni alle università e al mondo imprenditoriale.
Quello che dunque fanno i Think Tank è un’azione non tangibile e visibile la quale però diventa manifesta in due occasioni in particolare. Il primo di questi momenti si configura nel momento in cui il lavoro compiuto prende forma e viene reso pubblico tramite la redazione di un paper, di una conferenza o addirittura delle note da cui poi prenderanno vita accordi governativi, internazionali etc. Un esempio su tutti può essere, per esempio, la stesura della Global Strategy dell’Unione Europea promossa dall’ Altro rappresentante dell’Unione degli affari esteri e della politica di sicurezza Federica Mogherini, coadiuvata dallo IAI (Istituto Affari Internazionali, n.d.r.) di Roma.
Il secondo momento invece, secondo me, lo si può identificare con la diffusione di report e analisi non soltanto più per i decisori ma anche per il pubblico, per una folla varia e con un diverso livello di istruzione e di formazione. La ricerca dunque diventa comunicazione “di massa”, una via nella quale fornire senso e chiavi di lettura con il concreto rischio di rimanere soltanto sulla superficie dei problemi, fatto causato sia dal flusso continuo di informazione spesso non approfondite e superficiali sia dal portare all’estremo la necessità di diffondere e farsi conoscere a un pubblico sempre più vasto. Dunque, divenire soltanto interpreti, ripropositori di concetti e fallaci intermediari e non rimanere invece quel serbatoio di pensieri e di analisi utili, efficaci, corrette e dotate di senso.
Così come detto per il campo degli strategic studies, quello dei Think Tank è dominato anch'esso dal mondo anglosassone. Se contiamo il loro numero nei soli Stati Uniti e Regno Unito, secondo il “Global Go To Think Tank Index” del 2017 (disponibile qui), otteniamo che questi due Paesi hanno 2316 Think Thank (abbiamo sommato rispettivamente il primo e il terzo Paese con più Think Thank). La Cina, che nel report si è classificata come seconda forza per numero di istituti, ne ha "solo" 512.
Ancora, nelle prime 10 posizioni nella classifica mondiale, 7 posizioni sono occupate da Think Tank americani (5 istituti) e inglesi (2 istituti). Subito dietro queste realtà, ci sono poi realtà appartenenti alla Francia, alla Germania, alla Cina e molte altre.
In Italia, parlando del nostro Paese, esistono diverse realtà anche molto importanti e famose. È stato già citato lo IAI (Istituto Affari Internazionali, n.d.r.) ma potremmo ancora citare l’ISPI di Milano[1] (Istituto per gli studi di Politica Internazionale, n.d.r.), l’Istituto Bruno Leoni, l’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici oppure il Ce.S.i (Centro Studi Internazionali, n.d.r.). La lista è, sicuramente, molto più corposa ma bastano pochi nomi per dare un’idea delle nicchie di eccellenza e allo stesso tempo di potenzialità presente sul territorio nazionale.
Il polo militare
Per dovere di completezza, non si può parlare di serbatoi di pensiero e tralasciare lo specifico polo militare, realtà importante nel nostro Paese, così come in altri. In questa piccola realtà italiana (tralasciando invece quella americana e quella degli altri Paesi dove invece questa dimensione non è seconda a nessuno) la scena è dominata dal C.A.S.D (il Centro Alti Studi Difesa, n.d.r.) il quale ha poi diramazioni più formative e di ricerca, ovvero lo I.A.S.D (Istituto Alti Studi Difesa, n.d.r.), l’I.S.S.M.I (l’Istituto superiore di Stato Maggiore Interforze, n.d.r.), il Ce.MI.S.S (Centro Militare di Studi strategici, n.d.r.) ed infine il Ce.F.L.I (il Centro per la Formazione Logistica Interforze, n.d.r.).
Tutta questa struttura organizzativa si è posta tre obiettivi (da soddisfare, ovviamente): 1) migliorare il background professionale e culturale degli ufficiali di alto rango e dei funzionari civili della difesa; 2) perfezionare la formazione professionale e la preparazione culturale degli ufficiali in uno spirito interforze; 3) elaborare studi relativi alle problematiche inerenti l'organizzazione della difesa nazionale e la preparazione dello strumento militare.
Possiamo dunque cogliere la sinergia forte tra mondo militare e mondo accademico, grande fulcro di possibilità e opportunità che nel loro piccolo permettono sempre interessanti spunti di riflessione e chiavi di lettura degli eventi presenti e futuri.
Conclusione
La volontà di mettere assieme nella stessa analisi gli studi strategici e i Think Tank rispecchia la mia volontà di legare due argomenti attualissimi e che in futuro saranno ancora centrali. Il primo corrisponde al bisogno di studiare, analizzare, prevedere e saper affrontare minacce, problemi, crisi e incidenti di qualunque natura, in maniera strategica, cioè allocando sapientemente e quasi scientificamente le risorse a disposizione nei settori e nelle zone dove vi è necessità, senza sprecare tempo e risorse appunto. Il secondo argomento, invece, corrisponde alla necessità di avere intermediari forti, con grandi capacità comunicative, totalmente indipendenti (se ci riferiamo ai Think Tank veri e propri e non alle associazioni di carattere più politico o legate a gruppi di interessi particolari) e luoghi dove esperti e giovani possano analizzare i fatti, vagliare le notizie, studiare gli avvenimenti e provare a prevedere ciò che accadrà nel futuro prossimo, riuscendo poi, allo stesso tempo, da una parte, a influenzare i decisori politici e, dall’altra, a veicolare le loro chiavi di lettura, le loro analisi al resto della popolazione, senza però sminuire e rendere superficiale il loro lavoro.
Come più volte accennato nel corso del testo, se da un lato il mondo anglosassone spadroneggia nel mondo dei Think Tank e degli studi strategici e di sicurezza, dall'altro il panorama italiano è ricco di opportunità e di occasioni grazie alle quali poter affermare un proprio punto di vista e poter portare a livello globale una formazione d’eccellenza la quale ha generato studiosi quali Franco Alberto Casadio, antico direttore della SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, n.d.r.), Carlo Maria Santoro dell’Università di Milano o lo stesso Gino Germani, attivo anche all’Università di Harvard e il già citato Carlo Jean. Non sono entrate in questa analisi ma sicuramente sono almeno da citare, quando si parla di opportunità e occasioni in ambito accademico, i corsi di laurea incentrati, in tutto o in parte, sugli studi strategici. Possiamo annoverare in questo settore diverse realtà dalla mia università, la Scuola Universitaria Interdipartimentale di Scienze Strategiche di Torino, al master in studi strategici e sicurezza internazionale della Ca' Foscari di Venezia, al corso di studi strategici all'interno della magistrale di relazioni internazionali della LUISS e altre realtà accademiche, sia civili che militari.
Tutti i soggetti citati e elencati in tutta l'analisi, dai Think Tank alla realtà accademica di cui sopra, al polo militare e ai decisori politici, sono fondamentali per giungere allo sviluppo di un serio, consapevole e autorevole approccio italiano all’analisi delle situazioni instabili odierne e delle cicliche crisi può positivamente influenzare sia l’interesse e la sicurezza nazionale sia però, in una certa misura, anche quella europea, realtà questa in cui viviamo e che personalmente trovo fondamentale (avente difetti e pregi, ma non è la sede in cui parlarne). Ritengo infine che, per questo approccio, si debbano impiegare strumenti di ambito non solo politico, economico-finanziario e tecnologico, ma anche di carattere linguistico, giuridico, sociale e culturale, nell’accezione più ampia possibile del termine.
Il fine di questo approccio? Mettere a disposizione del nostro Paese diagnosi imparziali e corrette, inserendo al loro interno anche possibili opzioni strategiche, di diverso livello e di diversa forza di intervento, per sostenere (e possedere) linee di azione coerenti e, si spera, efficaci.
[1] L’ISPI, nel Global Think Tank Index del 2017, si è posizionato al 46° posto a livello mondiale e primo Think Tank italiano, seguito subito a ruota dallo IAI (48° posto). Potete trovare il documento al seguente link: https://www.gotothinktank.com/global-goto-think-tank-index/
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