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  • Pasquale Giurato

L’insorgenza estremista sunnita e sciita nel mondo contemporaneo: ISIS ed HEZBOLLAH a confronto




1. Guerriglia, terrorismo e nuove guerre


La guerra al giorno d’oggi viene concepita come un qualcosa di profondamente cambiato ed evoluto rispetto al passato. Nonostante questo, esistono diversi aspetti che collegano le guerre più antiche a quelle moderne, uno dei più importanti è il fenomeno della guerriglia. Questo tipo di tattica, utilizzata in passato anche da grandi eroi del mondo antico come i condottieri ribelli Viriato ed Arminio, rispettivamente nella penisola iberica e in Germania per combattere l’impero di Roma, viene oggi utilizzato dai diversi gruppi irregolari che possono essere gruppi terroristici o anche cartelli della droga come nello scenario messicano.

Questi nuovi conflitti hanno per protagonisti nuove entità che non sono più gli Stati sovrani, i combattimenti sono meno organizzati e strutturati e non vi sono più i grandi eserciti con tutta la preparazione logistica alle spalle che rendono il conflitto “regolare”. Questi nuovi combattenti, che possiamo definire “irregolari” si collegano alla definizione creata nel 2007 da Hoffman di hybrid warfare.[1] La definizione di guerra ibrida è un elemento chiave che permette di capire un’organizzazione come ISIS o Hezbollah. La guerra ibrida trova le sue ragioni in diversi fattori che si collegano al cambiamento dell’idea di identità nazionale, alle nuove forme di combattimento che vanno dalla guerriglia alla spettacolarizzazione dei conflitti, ed un’economia di guerra, che tende a non dipendere più dallo Stato, ma a decentralizzarsi subendo l’effetto delle risorse extra-statuali, compresi traffici illegali di armi e droga. (Lombardi, 2018) L’aggettivo ibrida si riferisce alla diversità e alla varietà degli strumenti, militari e non, utilizzati all’interno di questi nuovi conflitti. In primo luogo, vengono usati i nuovi strumenti tecnologici e i nuovi media che permettono di attaccare il nemico internamente e di allargare il campo di battaglia al cyberspazio. Basti pensare, ad esempio, che lo Stato Islamico è stato molto abile nel reclutare nuovi combattenti grazie alle piattaforme online di videogiochi c.d. “sparatutto” come Call Of Duty, sfruttando la voglia di violenza e fomentando le ideologie “anti-sistema” dei diversi utenti. Inoltre, nel nuovo contesto strategico conflittuale moderno, le città ricoprono un ruolo chiave a causa dell’urbanizzazione dei conflitti.

All’interno di questi nuovi conflitti, vengono impiegate armi moderne come droni, missili anti-carro o anti-aerei in ottica strategica che si collega ai movimenti guerriglieri. Il modo di combattere è quindi un insieme di elementi regolari e non tipici di quest’ultima forma di conflitto. Uno degli elementi che contraddistingue maggiormente questi nuovi gruppi è l’utilizzo delle tattiche terroristiche, che sono efficaci per due ragioni: in primo luogo perché sono “economiche” e flessibili; in secondo luogo perché garantiscono maggiore visibilità al gruppo grazie alle notizie dei mass media. Terrorismo, guerra e guerriglia sono concetti molto simili ma allo stesso tempo diversi e difficili da definire perché sono fenomeni storici e sociali che mutano a seconda dell’epoca (essendo influenzati dal livello tecnologico, dagli attori politici e dalle loro stesse istituzioni e idee politiche di riferimento) e dalle società (rapporti sociali, credenze e simili) che li impiega. Da un lato il conflitto attuale può essere visto come una sorta di guerriglia moderna, ma dall’altro è un conflitto asimmetrico in cui le tattiche terroristiche giocano un ruolo chiave sfruttando le vulnerabilità del moderno sistema globale come ad esempio la porosità dei confini statuali e i social media.[2]

Le guerre moderne quindi sono viste come forme di insorgenza. Quasi tutti gli studiosi concordano col fatto che le guerre odierne vengono combattute da milizie irregolari dove la tecnologia fornisce loro più potenza di fuoco, migliori capacità di comunicazione e maggiori possibilità di assemblare armi. È un tipo di conflitto che prevede tattiche mordi e fuggi, raid e imboscate unite a varie armi come fucili d’assalto, IED, autobombe a tattiche suicide. Gli IED[3], secondo diversi calcoli hanno causato il 70% delle perdite americane in Iraq. I combattenti moderni possono comunicare in tempo reale le loro azioni attraverso i blog e gli strumenti della rete. Inoltre, lo studio delle tattiche occidentali di guerra è uno degli elementi caratterizzanti dei nuovi guerriglieri moderni, tra cui quelli di ISIS. Durante la storia, gli irregolari hanno sempre utilizzato la c.d. “strategia di attrito”, ossia prolungare la lotta per indebolire il nemico convenzionale distruggendone la volontà di proseguire la guerra. (Beccaro, 2018)

Questo nuovo modo di affrontare i conflitti, ha permesso ad organizzazioni come ISIS ed Hezbollah di riuscire a ritagliarsi un ruolo importante all’interno del contesto medio-orientale. Questi due gruppi sono riusciti ad ottenere un controllo del territorio che ha permesso loro di poter avere un’influenza molto forte sulla popolazione locale attirando a sé anche diversi consensi. La pericolosità di questi nuovi conflitti è quindi acuita dalla proliferazione di armamenti avanzati disponibili ai numerosi attori, per cui per poter contrastare questi attori non serve avere solo un esercito, ma anche una strutturata ed efficace attività di intelligence. A questo elemento si collega poi interdipendenza e l’interconnessione che i diversi conflitti hanno sviluppato tra loro. Da questo punto di vista se prendiamo in considerazione Daesh e i cartelli della droga o le organizzazioni criminali come la ‘ndrangheta, vediamo come questi elementi che sembrano cosi differenti sono invece ben collegati perché ad esempio la ‘ndrangheta compra al mercato nero tutti gli oggetti preziosi e storici che i terroristi hanno razziato ai vari siti archeologici. Hezbollah e ISIS hanno sfruttato questi traffici ed a questi strumenti hanno affiancato un uso efficace del soft power, ossia le strategie comunicative, che sono l’asset strategico fondamentale dei nuovi conflitti odierni.[4]



2. L’estremismo salafita: lo Stato Islamico (ISIS)


L’ ISIS è un gruppo politico militare islamico sunnita, insediato principalmente in Medio Oriente, in particolare in Siria e Iraq, i cui membri professano un credo religioso estremista e usano la violenza brutale per imporre la legge coranica della shaaria al territorio che controllano. L’obiettivo dello Stato Islamico è legato ad un progetto di egemonia jihadista salafita[5] che punta a ridisegnare il Medio Oriente concentrandosi sul ritorno alla purezza originaria dell’Islam per resistere alle pressioni militari, economiche e culturali esercitate dall’Occidente.[6] Sotto la guida di Abu Bakr al-Baghdadi, l’Isis promuove la jihad[7] attraverso la violenza religiosa (o guerra santa) contro coloro che, non seguendo questi principi, sono considerati “takfir” o infedeli. Secondo il prof. Beccaro, ISIS andrebbe più correttamente definito come una milizia insorgente che controlla il territorio, lo amministra politicamente, gode dell’appoggio della popolazione (sia perché ne conquistato “i cuori e le menti” sia perché è stata costretta) e può svolgere operazioni militari ben più complesse di “semplici attacchi terroristici. (Beccaro, 2018)

L’acronimo ISIS sta per “Islamic State of Iraq and al-Shām” e comprende quei territori che vanno tra Iraq sunnita e la Siria; mentre “Al-Shām” è la parola che indica tutta l’area tra Siria, Giordania, Libano e Palestina. Esiste però un secondo nome, anche se meno conosciuto, che definisce il gruppo dei combattenti anche come “Isil” ovvero appartenenti allo “Stato Islamico dell’Iraq e del Levante” che controlla quei territori che si collocano da Raqqa a Tikrit, Ramadi e Mosul. Anche se nell’ultimo anno, soprattutto in Iraq, lo Stato Islamico ha subito perdite ingenti, con la cacciata da quasi tutta la provincia dell’Anbar, dalle città di Ramadi e Falluja, e da gran parte della provincia di Ninive, compresa la stessa Mosul.

Le origini dell’Isis hanno inizio con la guerra irachena: in particolare dopo l’intervento degli Stati Uniti nel 2003 con l’operazione Iraqi Freedom e la caduta di Saddam Hussein, eventi che hanno segnato una guerra interna al Paese tra le due correnti islamiche sciita e sunnita. I vari gruppi irregolari che si sono creati con la caduta del regime hanno portato ad una sanguinosa guerra civile tra la minoranza sunnita e la maggioranza sciita. Fu in questo caos che nacque lo Stato Islamico guidato dalla figura del leader al-Zarqawi che si distinse per la sua brutalità e per l’utilizzo dei video e delle decapitazioni. Il suo gruppo si fece paladino della comunità sunnita che ormai temeva il cambio di regime sciita. Il suo gruppo si alleò con al-Qaeda l’altra organizzazione terroristica inizialmente guidata da Osama Bin Laden. In questo contesto al-Zarqawi rafforzò il suo gruppo e intraprese una strategia di scontro aperto contro gli sciiti iracheni. Questa situazione portò all’intervento iraniano che cominciò ad appoggiare i vari gruppi sciiti e ciò comportò la risposta dell’Arabia Saudita che finanziò diversi gruppi sunniti, tra cui lo Stato Islamico. Inoltre, dallo scoppio della guerra in Siria avvenuto nel 2011, i guerriglieri dell’Isis si riconoscono ufficialmente sotto il califfato appartenente allo “Stato Islamico di Iraq e Siria” (2014). Il 29 giugno 2014, con la creazione del califfato[8], l’Isis ridisegna i confini riconosciuti internazionalmente e proclama come leader Abu Bakr al-Baghdadi, le cui notizie sulla sua morte si rincorrono da anni.[9] Nato da una famiglia sunnita nel 1971 a Samarra, in Iraq, il suo vero nome è Awwad al-Badri. L’appellativo attuale si deve al nome di uno dei califfi dell’Islam con l’aggiunta dell’origine geografica della città dove Baghdadi è cresciuto: ovvero Baghdad. Nel 2003, durante l’invasione anglo-americana dell’Iraq, con Baghdadi si costituisce la prima cellula armata che si unisce alle formazioni jihadiste già presenti sul territorio. L’allora capo dello Stato islamico, Abu Omar al-Baghdadi, viene ucciso il 18 aprile del 2010; Abu Bakr, da poco tornato in libertà dopo la cattura da parte degli americani e i quattro anni trascorsi in una prigione nel sud di Baghdad, si autoproclama nuovo leader. Subito dopo annuncia la sua alleanza con al-Qaeda, guidata da Ayman al Zawahiri, da cui dopo prenderà poi le distanze sfidandone l’autorità. L’apice dell’espansione dell’Isis si raggiunge nell’estate del 2015, quando le bandiere nere di Al Baghdadi sventolano dalla periferia di Baghdad a quella di Aleppo e Damasco, passando per il deserto tra Siria ed Iraq e per la città di Palmira. Così come in Siria, anche in Libia si vive nel 2014 una situazione di grave stallo politico ed istituzionale. La caduta del regime di Gheddafi, avvenuta nell’ottobre 2011 e culminata con l’uccisione del Raìs, determina il collasso dello Stato libico che a sua volta, come in Iraq nel 2003 ed in Siria nel 2011, favorisce l’ascesa di gruppi integralisti. Diverse fazioni jihadiste che operano già in Libia, nell’estate del 2014 decidono di giurare fedeltà ad Al Baghdadi. Prima a Derna, poi a Sirte, anche la Libia è costretta a vedere la nascita all’interno dei propri confini del califfato islamico. Sotto il profilo militare, l’Isis appare ad oggi oramai sconfitto. Se nel 2016 i miliziani del califfato rallentano le avanzate, il 2017 è l’anno del totale indietreggiamento: l’esercito siriano da un lato e le forze SDF (filo curde e filo americane) dall’altro infliggono duri colpi allo Stato islamico. Nell’estate del 2017, l’Isis perde il 70% dei suoi territori in Siria. Nel settembre 2017 Deir Ezzor non è più sotto assedio, mentre nel mese successivo viene conquistata Raqqa. Anche in Iraq l’Isis perde quasi interamente il suo territorio: Ramadi, Falluja e Mosul vengono riconquistate dall’esercito iracheno, la provincia di Al Anbar torna sotto il controllo di Baghdad e nel Paese oramai il califfato non esiste più.[10] Secondo il prof. Beccaro, esperto di ISIS, anche senza il territorio iracheno e siriano, l’ISIS manterrà la sua presenza online anche se è stata ridotta. La propaganda dello Stato Islamico che può essere definita “escatologica”, nel senso che ogni perdita territoriale e ogni sconfitta viene intesa come un passo verso la vittoria finale, anche se lontana. Se prima la retorica era quella di rimanere ed espandersi ponendo accento sulla difesa del territorio conquistato e sulla necessità di ampliarlo, adesso si invita a resistere ed a continuare la battaglia. (Beccaro, 2018) Quest’ultimo è un elemento che può ispirare i c.d. “lupi solitari” a compiere diversi attacchi anche in Europa o USA. Dare per sconfitto del tutto lo Stato Islamico sarebbe un errore. ISIS è un’organizzazione con provincie dislocate in vari paesi, per cui la sola sconfitta territoriale in Siria o Iraq non distruggerà tutto il sistema nel suo complesso.[11] Inoltre non bisogna dimenticare che Daesh ha storicamente dimostrato di saper apprendere, mutare ed adattarsi a qualsiasi contesto e questo non deve mai essere sottovalutato dai suoi avversari.



3. Il movimento sciita libanese: Hezbollah, il “Partito di Dio


Nato sotto gli auspici della Repubblica islamica dell'Iran, Hezbollah è stato riconosciuto dalla Siria come il principale gruppo di resistenza nazionale e partito sciita. Proprio i principi dettati dall’ayatollah Khomeini funsero da catalizzatore per l’unione di una serie di movimenti politico-religiosi sorti nel mondo sciita libanese a inizio Anni Ottanta. Essi certificarono la loro unione nel vero e proprio Hezbollah il 16 febbraio 1985, attraverso la pubblicazione a Beirut della “Lettera agli oppressi del Libano e del mondo”. Al suo interno venivano definiti i principi chiave a cui Hezbollah si sarebbe strenuamente sempre attenuto: dura opposizione al cosiddetto “imperialismo” di Israele e dei suoi alleati, volontà di costruire una società islamica attraverso un mandato democratico, riconoscimento del primato del giureconsulto islamico (velyat-e faqih) e assegnazione di un ruolo di guida spirituale all’ayatollah iraniano.[12] Nonostante il gruppo fosse nel contesto libanese un alleato strategico privilegiato per la Siria, fu esentato dalla DDR[13] nel 1991 perché il Sud rimase occupato da Israele dopo la fine della guerra civile. Dopo la sua creazione nel 1982[14], Hezbollah si era sviluppato come un movimento sociale che abbracciava ogni aspetto della vita privata e pubblica degli sciiti libanesi. Il partito aveva la capacità di mobilitare facendo appello alla religione, alla storia e all'identità, ed era in grado non solo di modificare la struttura, le norme e l'etica della società sciita, ma di sfidare le fondamenta dello stato di "consenso" libanese. Grazie alle connessioni familiari e settarie e alla porosità dei confini tra le strutture militari, l'organizzazione del partito e la società sciita, Hezbollah ha avuto sempre molti sostenitori.[15] Inoltre, oltre alle solide radici che fondavano la sua legittimità nazionale e la sua effettiva infrastruttura militare, Hezbollah è stato in grado di sfruttare la potente rete transnazionale centrata a Teheran che ha fornito abbondanti risorse finanziarie e armamenti insieme al sostegno politico e religioso. Come in molti altri paesi del Medio Oriente, il localismo ristretto e la strategia transregionale, il dominio clericale della società e il culto del sacrificio armato stavano contribuendo a erodere il modello dello stato territorializzato, della responsabilità democratica e della cittadinanza. Allo stesso tempo, Hezbollah è diventato un modello delle nuove strutture militari che combattono le guerre asimmetriche sulla scia della "rivoluzione negli affari militari". A livello organizzativo, Hezbollah è strutturata come un'istituzione militare unificata, rigidamente gerarchica, territorializzata di poche migliaia di combattenti, con una struttura di comando ispirata all'Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP). È stata inoltre organizzata in cellule piccole, mobili, estremamente ben addestrate, decentralizzate e autonome che combinano sofisticate tecnologie di intelligence e armi high-tech con un livello alto e con audace improvvisazione. Queste caratteristiche hanno contribuito al successo nella guerra di logoramento condotta contro le forze di occupazione israeliane prima del 2000, nonché alla sua notevole resistenza nell'estate del 2006. Questo tipo di guerra viene definita da diversi studiosi come la “pietra miliare” della nascita del conflitto ibrido, perché ha visto per la prima volta un esercito organizzato, come quello israeliano, essere bloccato e colpito dai miliziani irregolari che hanno usato strumenti tecnologici (come missili anti carro, UAV etc.) e tattiche di guerriglia.[16] La struttura militare di Hezbollah era lo specchio opposto dell'esercito libanese della guerra post-civile. Il contrasto tra le loro iniziative sul campo è stato ancora più sorprendente. Prima ancora di emergere ufficialmente allo scoperto, Hezbollah aveva iniziato una attiva campagna militare asimmetrica contro le forze israeliane e i loro alleati nel Sud del Libano. Tra il 1982 e il 1986, in particolare, 36 attentati suicidi colpirono sia l’Israeli Defence Force (Idf) sia le truppe francesi ed americane schierate in Libano nel contesto delle missioni internazionali, e con ogni probabilità alcune di esse furono portate avanti da sigle che, sul lungo termine, si sarebbero legate ad Hezbollah.[17] La riuscita resistenza di Hezbollah contro la potente IDF ha fatto risuonare e sottolineare l'assenza dell'esercito libanese sul fronte israeliano nel periodo in cui il Sud è stato invaso due volte (nel 1993 e nel 1996). La strategia dei miliziani di Hezbollah contro la IDF, grazie ad una maggiore conoscenza del territorio, costrinse lo Stato d’Israele a impiegare le truppe di terra, ma anche a ridimensionare i propri obiettivi iniziali. Le forze sciite, numericamente inferiori a quelle israeliane[18], erano sviluppate in piccole cellule autosufficienti che avevano un efficiente sistema di spionaggio elettronico. Questo tipo di campagna militare permise ad Hezbollah di bloccare gli israeliani che subirono moltissime perdite. L'assenza di forze di sicurezza libanesi è diventata ancora più evidente dopo il ritiro israeliano nel 2000. L'esercito libanese non ha intrapreso alcuna iniziativa significativa nel Sud fino all'estate del 2006, quando ha ricevuto un forte sostegno logistico e politico dall'Occidente sotto la protezione delle Nazioni Unite. Dal 1992, Hezbollah è guidata da Hassan Nasrallah, membro della prima ora dell’organizzazione, che rivendica una discendenza diretta dal profeta Maometto e ha compiuto i suoi studi a Qom, capitale religiosa degli sciiti in Iran. Salito al potere all’improvviso, dopo l’uccisione da parte di Israele del suo predecessore Abbas al-Moussawi, Nasrallah, oggi 58enne, ha plasmato Hezbollah come formazione capace di partecipare più volte ai governi libanesi di unità nazionale e di accreditarsi nel panorama politico interno senza modificare la sua missione originale verso l’esterno.[19]



4. L’impatto della crisi siriana e le analogie e differenze tra i due gruppi


Questi due gruppi sono molto simili ma allo stesso tempo molto diversi tra di loro per tante ragioni, come ad esempio il credo religioso poiché Hezbollah ha una vocazione sciita mentre ISIS ha una ideologia più legata sunnismo. L’evento che ha caratterizzato profondamente le due fazioni è stata la guerra civile Siriana. Il conflitto che ha scosso il governo di Bashir al-Assad ha infatti mutato pesantemente la storia di questi due gruppi ponendole in una posizione di contrasto e conflitto. Quest’ultimo è apparso sin da subito come una proxy war in cui le potenze regionali e globali, come USA e Russia, si schierarono a favore dei loro alleati. L’asse sciita guidato dall’Iran appoggiò Assad anche attraverso Hezbollah e il supporto russo. Dall’altro lato gli USA appoggiarono la minoranza curda che fu a sua volta osteggiata dalla Turchia, alleata USA e membro NATO, e gruppi sunniti non estremisti. (Beccaro,2018)

Tra i gruppi estremisti sunniti troviamo al-Nusra, emanazione di Al-Qaeda e l’ISIS. In questo contesto il movimento libanese Hezbollah, da milizia sciita in funzione anti-israeliana e di auto-difesa ha dovuto ampliare le sue capacità per fronteggiare il pericolo Daesh all’interno dei suoi confini, dove la parte sunnita della popolazione avrebbe potuto appoggiare i guerriglieri di Al-Baghdadi. Le milizie del “Partito di Dio”, ritrovandosi a dover combattere anche in zone geostrategiche diverse dalle colline del Libano meridionale, come il contesto desertico di Palmira, le zone montagnose di Qalamoun o in conflitti urbani come ad Al Qusair[20], combattendo a fianco delle forze regolari di Assad e delle forze speciali russe hanno migliorato le loro tattiche militari. A livello politico il conflitto siriano e l’alleanza con Putin ed Assad ha trasformato il gruppo sciita libanese di Nasrallah in un attore regionale e non più locale, e quindi legato al solo contesto libanese-israeliano. Sono gli uomini di Hezbollah, per fare un solo esempio, ad istruire i combattenti Houthi che, nello Yamen, rendono cosí difficile la campagna militare dell’alleanza sunnita guidata dall’Arabia Saudita. Da questo punto di vista, Nadav Pollak ricercatore al Washington Institute for Near East Policy (WINEP) ha descritto dettagliatamente come la campagna siriana abbia portato all’evoluzione della tattica militare di Hezbollah, sino a pochi anni fa incentrata essenzialmente sulla dottrina del muquawa (“resistenza”) applicata nel corso dei passati conflitti contro Israele e basata su tattiche di guerriglia e su azioni “mordi e fuggi” condotte con il supporto di batterie di obici mobili. Più volte le forze di Hezbollah hanno combattuto a viso aperto sul terreno, dimostrando un’elevata capacità di integrazione con le truppe siriane ed iraniane e acquisendo rapidamente dimestichezza con la coordinazione degli attacchi terrestri coi raid delle forze aeree russe. La qualità del braccio armato del “Partito di Dio” come forza combattente è complessivamente migliorata, e come sottolineato da Pollak ciò non è sfuggito ai vertici militari israeliani, che riconoscono in Hezbollah uno dei principali nemici strategici di Tel Aviv nella regione.[21]

ISIS, da parte sua sfruttò i legami con i contatti sunniti della regione che si erano ribellati ad Assad. Con il crollo del regime, lo Stato Islamico ha potuto occupare diverse zone, soprattutto quelle desertiche al confine con l’Iraq che erano senza difese, come Raqqa e la provincia di Deir el-Zor ricche di petrolio. La crisi siriana ha segnato la storia dell’ISIS perché è stato proprio durante tale conflitto che al-Baghdadi ha sfidato al-Qaeda e reclamò il controllo di al-Nusra dichiarando la fusione tra i due gruppi il 9 aprile 2013 e annunciando la nascita dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria (ISIS).

Uno degli elementi più importanti che queste due organizzazioni hanno in comune, è l’utilizzo delle tattiche suicide. Con l’attacco suicida questi gruppi colpiscono l’opinione pubblica occidentale. Queste tattiche sono un ottimo strumento di propaganda che esalta la tendenza naturale dei media a focalizzarsi su eventi orribili e a cercare sempre la sensibilizzazione. (Beccaro, 2018)

L’ISIS, durante il suo operato in Iraq lo ha utilizzato attraverso diverse forme: singolo, in appoggio ad un assalto, ondate di vari attacchi etc. Grazie a questo tipo di attacchi e alle diverse situazioni politiche, lo Stato Islamico si è preso una fetta importante di territorio compreso tra Siria e Iraq ed è riuscito a raggiungere uno degli obiettivi più importanti: il controllo della popolazione e delle risorse del territorio. Hezbollah ha utilizzato questo tipo di tattiche per destabilizzare e per ottenere precisi obiettivi politici. Un esempio chiaro di questo tipo di strategia si collega al 23 ottobre 1983, quando a Beirut due camion bomba imbottiti da 10.000 kili di TNT colpirono gli edifici che ospitavano la forza internazionale che all’epoca operava in Libano causando la morte di 241 marines americani, 58 soldati francesi e 6 civili. Gli attacchi avevano il chiaro obiettivo di far ritirare dal paese dei cedri la task internazionale, cosa che avvenne poi nel 1984. Hezbollah ed ISIS hanno in comune anche la capacità di offrire alla popolazione servizi in sostituzione o in contrapposizione allo Stato. Hanno loro riviste e aspetti sociali che gli permettono di radicarsi con successo tra la popolazione locale. Anche la struttura organizzativa è molto simile, dove vi è un leader molto influente e un’ala para-militare sempre pronta ad intervenire. A differenza di ISIS, Hezbollah - nonostante venga riconosciuta da USA e EU come un’organizzazione terroristica – con la partecipazione al conflitto siriano si è ritagliata uno spazio importante nella politica regionale della zona. Infatti attori chiave come la Russia, hanno riconosciuto il gruppo di Nasrallah come un buon interlocutore, ed anche la Cina ha mantenuto una posizione di neutralità. Il movimento sciita libanese gioca un ruolo chiave all’interno del suo stato e trova la sua forza nelle mancanze che lo stato libanese possiede a livello economico e sociale e di protezione soprattutto nel Libano meridionale. Infatti le operazioni in Siria sono definite dalla propaganda del Partito di Dio come “necessarie” per mantenere la guerra lontana dal Libano. Da questo punto di vista vediamo come ISIS ed Hezbollah abbiano in comune anche l’elemento della propaganda. Non si può parlare nel caso di queste due milizie come di semplici “organizzazioni terroristiche” poiché a differenza di queste ultime, hanno sviluppato delle caratteristiche e dei poteri molto radicati che permettono loro di porsi come una sorta di “anti-Stato” capace di avere il controllo sul territorio e sulla popolazione locale.









[1] Marco Lombardi, Il terrorismo nel nuovo millennio, vita e pensiero, 2016. Nel 2007 l’americano Frank Hoffman propose una definizione dei nuovi conflitti caratterizzati da: “una strategia militare, attuata sia da attori statali che non-statali, che integrano strumenti, tattiche, tecniche e procedure convenzionali e non-convenzionali e impiega forze regolari e irregolari, in contesti di conflitto sia simmetrico che asimmetrico, in maniera coordinate allo scopo di raggiungere il fine desiderato (Hoffman, 2007)”

[2] Andrea Beccaro, Modern Irregular Warfare: The ISIS Case Study: Small Wars & Insurgencies: Vol 29, No 2.

[3] http://www.treccani.it/enciclopedia/armi-rivoluzione-negli-affari-militari-e-guerre-di-quarta-generazione_(Dizionario-di-Storia)/. “In campo terrestre, si impiegano robot per i rastrellamenti di gallerie, cantine e caverne, nonché per la neutralizzazione degli ordigni esplosivi, usati dai guerriglieri. Questi (IED, Improvised explosive device) hanno provocato oltre il 70% delle perdite fra le forze occidentali in Iraq e in Afghanistan. L’esercito USA impiega in tali teatri oltre 5000 robot terrestri, di cui taluni trasportabili a spalla.”

[4] Marco Lombardi, Il terrorismo nel nuovo millennio, vita e pensiero, 2016. Pg. 46

[5] Beccaro, ISIS storia della milizia islamica più potente e pericolosa del mondo, Newton, 2018. cit “Il termine salafita si rifà ad una dottrina nata nel XVIII secolo che predicava un ritorno alle origini dell’islam, ovvero un approccio fondamentalista all’Islam che mira ad emulare i comportamenti e la vita del profeta e dei suoi primissimi seguaci. Le basi teoriche su cui si fonda sono due: il rifiuto di ogni innovazione religiosa che si discosti dalla parola del profeta e l’implementazione della shaaria. Il termine si contrappone al “wahhabismo” che è il movimento di rinnovamento islamico che si sviluppò nella penisola arabica con la famiglia Saud.

[7] Beccaro, ISIS storia della milizia islamica più potente e pericolosa del mondo, Newton, 2018, p.58. cit “Il concetto di “guerra santa” con cui comunemente si traduce la parola “jihad”, ha un significato diverso in Occidente che non appartiene al mondo arabo. Il termine ha una doppia connotazione religiosa che include una lotta personale verso l’esterno contro l’oppressione e la tirannia, e una lotta personale rivolta verso l’interno che mira alla santità e allo sforzo individuale di essere bravo e rispettoso musulmano”.

[8] I miliziani fedeli ad Al Baghdadi iniziano ad espandersi sia in Siria che in Iraq, stabilendo un totale controllo militare e para statale nei territori occupati. In Siria il dominio è essenzialmente su Raqqa, mentre in Iraq l’Isis controlla ad inizio estate del 2014 Mosul, Ramadi, Falluja e gran parte della provincia sunnita dell’Al Anbar. Spinto da questi successi, Abu Bakr Al Baghdadi il 5 luglio 2014 diffonde un video in cui, dalla moschea principale di Mosul, proclama la nascita del califfato e dello Stato islamico. L’Isis di fatto tenta di trasformarsi in un vero e proprio Stato, attuando una struttura di potere para statale e ben ramificata nei territori conquistati

[9] Dato per morto più volte, l’ultima nel giugno 2017, il leader dell’Isis è stato di recente segnalato al confine tra Siria ed Iraq. Sulle sue tracce ci sarebbero anche i governi di Damasco, Mosca e Baghdad. Il suo ultimo messaggio audio risale al settembre 2017.

[10] http://www.occhidellaguerra.it/cos-e-l-isis-genesi-della-rete-del-terrore/

[11] Beccaro, ISIS storia della milizia islamica più potente e pericolosa del mondo, Newton, 2018, p.192 cit

[12] http://www.occhidellaguerra.it/il-partito-di-dio-storia-e-futuro-di-hezbollah/

[13]Nel 1989 i parlamentari libanesi hanno sottoscritto a Taif, in Arabia Saudita, un accordo che ha dato vita ad un governo libanese di riconciliazione nazionale, ponendo fine a quindici anni di guerra civile. L’accordo, alla stesura del quale era presente anche la Siria, prevedeva che tutte le milizie avrebbero consegnato le armi e che entro due anni l’esercito siriano si sarebbe ritirato dal Libano. Ma non è stato così: i siriani non sono andati via né dopo due anni né dopo dieci. Tutte le milizie hanno consegnato le armi, ma non Hezbollah, che dichiara di voler liberare, anche autonomamente, la zona che considera sua al sud del Libano, occupata da Israele. In quel momento tutti acconsentirono, tacitamente o meno, al fatto che Hezbollah liberasse il sud del Paese.

[14] Rosita di Peri, Il libano contemporaneo, storia, politica società, Carocci editore, NE. “Il partito Hizb al-da’wa (partito sciita creato in Iraq come alternativa al partito Comunista), la corrente islamista in seno ad Amal (Islamic Amal) e diversi militanti palestinesi provenienti dalla resistenza.”

[15] Laura Guazzone and Daniela Pioppi, The Arab State and Neo-Liberal Globalization: the restructuring of State Power in the Middle East, 2012

[16] Pedro Sánchez Herráez, El Líbano: ¿Viejos Enemigos Nuevos Procedimientos?, Revista Ejército nº 792, Ministerio de Defensa, Madrid, abril 2007.

[17] http://www.occhidellaguerra.it/il-partito-di-dio-storia-e-futuro-di-hezbollah/

[18] Il rapporto fra truppe israeliane e irregolari libanesi era, a seconda delle valutazioni, da 10:1 a 5:1 a favore degli israeliani.

[19] http://www.occhidellaguerra.it/il-partito-di-dio-storia-e-futuro-di-hezbollah/

[20] I rinforzi di Hezbollah erano uno strumento della politica iraniana nella regione. Questo è importante per capire il coinvolgimento dell’Iran e dei suoi piani che avevano come obiettivo quello di mantenere Assad e contrastare l’espansionismo saudita che armava le milizie estremiste sunnite. (Beccaro, 2018)

[21] http://www.occhidellaguerra.it/hezbollah-siria/

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