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Chiara Buzzi

La tutela dei beni culturali in zone di conflitto (1)



Un’eccellenza tutta italiana e la sua insostenibile leggerezza del non-essere


Fin dall'alba dei tempi, la distruzione del nemico è passata attraverso la sua negazione anche nella dimensione culturale. Nell'antichità, il conflitto si poteva dichiarare risolto con esito positivo solamente quando il nemico cessava di esistere. Nel corso degli secoli, tuttavia, la tendenza a distruggere il più prezioso dei prodotti umani, la cultura, ha visto un certo rallentamento, dal momento che i beni artistici potevano essere considerati un motivo di espansione della ricchezza del proprio regno, segno di estrema potenza nel sistema internazionale antico.


L’interesse umano per la cultura e per il suo mantenimento ha origine nel periodo Romantico ma raggiunge il suo estremo apice a fronte dello straziante epilogo della Seconda Guerra Mondiale: di fronte al tentativo di totale eliminazione di una cultura e alla distruzione di beni artistici di ineguagliabile valore ad opera dei bombardamenti, la Comunità Internazionale non ha potuto chiudere gli occhi e si è adoperata per creare un approccio unitario e positivo nei confronti della tutela della dimensione culturale anche in un conflitto.


Solo con l’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’Educazione, la Scienza e la Cultura, a tutti nota con il suo acronimo UNESCO, l’attenzione della comunità internazionale si è concentrata sulla salvaguardia del patrimonio culturale, dando origine ad un duplice effetto sulla tutela dei beni culturali: da un lato, la predisposizione a livello globale di un apparato di regole comuni; dall'altro, la previsione di un’organizzazione internazionale, allocato presso l’ONU, dotato di poteri di supervisione atti ad incentivare l’enforcement delle regole stesse, il cui principale testo di riferimento è la Convenzione per la protezione dei beni culturali in caso di conflitto armato firmata a L’Aja nel 1954.


La deliberata distruzione del patrimonio culturale non è sempre stata uno degli obiettivi primari della guerra. Edifici e altri oggetti che si qualificano come patrimonio culturale di una nazione sono stati spesso distrutti dai cosiddetti danni collaterali delle attività tattiche condotte in teatri urbani. In passato, la prassi è stata quella di trascurare i beni culturali in tempo di guerra, non tanto per disinteresse, quanto per una scelta di priorità, poiché spesso ampi segmenti della popolazione sono stati costretti a lasciare le proprie residenze in emergenza. Nei casi in cui, invece, i conflitti erano legati all'identità delle persone, in quanto obiettivo pulsante del nemico ed unico metro di giudizio circa l’andamento del conflitto, il patrimonio culturale assumeva il ruolo di obiettivo sensibile e strategico, da colpire intenzionalmente al fine di distruggere l’identità del nemico.


L’obiettivo culturale: come si può sfruttare


In prima battuta, l’obiettivo culturale può essere sfruttato in duplice maniera: da una parte sotto il profilo del binomio distruzione/preservazione, dall'altra nelle azioni legate al traffico illecito dei pezzi d’arte.

Il binomio distruzione/preservazione ricopre da sempre il ruolo fondamentale nei confronti dell’opinione pubblica. Se da una parte la distruzione di un bene culturale chiave di una certa popolazione, sia essa definita su base etnica o religiosa, può divenire un attacco diretto ad un obiettivo molto più ampio riconducibile all'unità e all'identità dello spirito e del riconoscimento identitario del nemico, dall'altra invece la tutela del patrimonio culturale (e l’attenzione rivolta ad esso) nella pianificazione e nella condotta delle operazioni può rappresentare un incentivo positivo alla risoluzione del conflitto.


L’opinione pubblica, poi, può essere positivamente indirizzata quando viene dimostrata una levatura più “culturale” della missione, così da permettere di avere sostegno sia in termini morali che monetari dalla Comunità Internazionale. È infine dimostrato che un ridotto impatto sul patrimonio culturale sia un punto chiave per semplificare la coesione necessaria nelle operazioni in scenari post-conflict, poiché in tal caso non è necessario, per le Forze Armate dispiegate, lavorare sulla riparazione, fisica e non, dell’identità culturale del Paese in oggetto. Purtroppo, una simile condotta può molto facilmente andare incontro al fallimento, poiché i recenti conflitti vedono coinvolte parti come le milizie private e gli attori non statali che difficilmente si attengono alle normative internazionali vigenti in materia di conflitti armati.

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