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  • Immagine del redattoreMarco Cencio

La (nuova) corsa all'Africa: l'affollamento di potenze

Aggiornamento: 12 mar 2019




In concomitanza con la polemica (poi passata in secondo o terzo piano) del presunto colonialismo francese, in seguito poi inserito in un discorso più coerente e veritiero, sembra corretto oltre che interessante analizzare brevemente i soggetti che davvero stanno “colonizzando” l’Africa.

Le potenze che dunque hanno i ruoli principali nel continente sono le cosiddette 2 + 1 ovvero Stati Uniti, Cina più la Russia.


USA


Gli Stati Uniti sono impegnati in Africa sin dalla Guerra Fredda e mantengono tutt’ora una rete di 46 installazioni, di cui però solo due siti operativi avanzati (a Gibuti, dove vi è anche la Cina, e sull’isola di Ascensione) mentre le altre strutture sono prevalentemente temporanee. Tutta la rete americana è stata raggruppata dal 2008 sotto la sigla AFRICOM e inserita nel piano di lotta al terrorismo voluto da George W. Bush. Con la morte dei quattro berretti verdi durante un’imboscata da parte di gruppi forse affiliati all’estremismo religioso islamico, è stato ipotizzato un ridimensionamento della presenza americana con un drastico taglio soprattutto delle forze speciali. Ad oggi però non sembra che tale riduzione sia avvenuta in maniera così drastica anche alla luce dell’elevato numero di Paesi africani che hanno accordi con gli USA e dall’aggressiva concorrenza cinese in primo luogo, poi di alcuni Paesi europei ed infine della Russia.

Si conosce poco delle operazioni americane in Africa e ancora meno si sa (come è giusto che sia) della 127e, una sezione del Pentagono che gestisce quasi tutti i programmi sul continente, che da più parti viene indicata come arma fondamentale per la lotta al terrorismo. Politico[1] nel marzo del 2018, scrisse un’interessante inchiesta in merito alla guerra segreta degli USA in Africa.


L’importanza di un continente come quello africano è sempre più manifesto agli occhi non solo di qualche analista e pertanto si presuppone che il Pentagono farà di tutto per non vedersi limitare la possibilità di operare su questo territorio, riuscendo allo stesso tempo a rimanere nell’ombra.


CINA


La Cina è il Paese che più si è allargato e interconnesso in e con l’Africa. Secondo il China-Africa Research Initiative della John Hopkins University, infatti, il debito accumulato in Africa nei confronti della Cina (dal 2000 al 2016) ammonta a 124 miliardi di dollari circa. Oggi Pechino è il più grande partner commerciale dell’Africa nonché il più grande finanziatore di costruzioni infrastrutturali (come per esempio la prima ferrovia internazionale elettrica del continente africano, lunga più di 700 chilometri, costata più di 4 miliardi di dollari, e collega Addis-Abeba (capitale dell’Etiopia, n.d.r.) con la Repubblica di Gibuti, un piccolo situato di fronte allo Yemen e fa da collegamento tra il Golfo di Aden e il Mar Rosso. A Gibuti, come accennato precedentemente, la Cina ha inaugurato sempre nel 2017 la sua prima base all’estero nella quale dovrebbero poi risiedere circa 10 mila militari come forza di protezione degli interessi internazionali della Cina. Il fiume di soldi, per parlare molto rozzamente, riversati su quasi tutto il continente non si può e non si deve leggere soltanto sotto osservazioni economiche ma anche sotto profili politici. Gli investimenti sono stati concessi senza tassi di interesse proibitivi o senza particolare attenzione ai diritti umani, all’ambiente e ad altri vincoli tipici invece delle strutture quali la Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale, ma anzi l’unica condizione è l’accettazione della cosiddetta One China Policy, ovvero dell’esistenza di una sola Cina, cioè della Repubblica Popolare e di cui Taiwan fa parte come provincia e non come Stato autonomo.

Su tutto il continente africano l’unico Paese che riconosce ancora Taiwan è lo Swaziland. Il Burkina Faso ha rotto le proprie relazioni con Taiwan nel 2018, vedendo poi aumentare sensibilmente gli investimenti cinesi nel proprio territorio, oltre che alla collaborazione economica e tecnica.


Tale disponibilità economica per i Paesi africani ha però un grande contraltare nell’accumulo di debito sempre maggiore che questi stanno accumunando con il Paese asiatico, talmente elevato che potrebbe portare alla successiva perdita di intere strutture come porti e aeroporti. La non attenzione per gli equilibri sociali, ambientali e politici inoltre potrebbe poi significare future destabilizzazioni.


RUSSIA


L’ultimo Paese di questo breve elenco è la Russia. Benchè l’Africa sia, come scritto nel Foreign Policy Concept, all’ultimo posto tra le priorità regionali di Mosca, in concomitanza con il crescente interesse che molte potenze – su tutte la Cina, come si evince dal precedente capitoletto – si può dire che vi è stato un incremento degli sforzi e delle azioni in tre macro-aeree: l’Africa centrale, il Corno e il Nord Africa.

Un esempio di questo attivismo può essere il viaggio del ministro degli Esteri Sergey Lavrov nel marzo 2018 in Paesi quali Angola, Zimbabwe e Namibia seguiti poi anche dall’Etiopia e dal Mozambico, con la successiva firma del SADC (Southern Africa Development Community) ovvero di una sorta di cooperazione tecnica e militare. Tale agire dunque non è dunque altro che l’emblema appunto di un nuovo agire russo alla luce di una strategia sicuramente più ampia adotta nel continente e che va a riguardare altre aree dove la Russia è già presente: l’Egitto di Al-Sisi, il profondo legame con Haftar ma anche alla cooperazione da tempo vigente con il Sudafrica.


Se prima abbiamo parlato di Stati Uniti e Cina, parlando di Russia non si può non parlare delle maggiori difficoltà che questa ha nell’inserirsi in questo continente rispetto agli altri due. I punti di pressione e di interesse per gli Stati africani, se si guarda alla Russia sono principalmente due: il seggio nel consiglio di sicurezza dell’ONU e l’industria bellica. I legami con l’Africa creatisi durante la Guerra Fredda sono poi un punto di parte importante e che viene sfruttato dalla Russia di Vladimir Putin.


La strategia russa tuttavia non è priva di problemi intrinseci. La Russia è, da un lato infatti, un Paese ricco di risorse energetiche e materie (ma che mira a prenderne altre così da sottrarle agli altri Paesi) ma dall’altro è un Paese moderno ovvero un Paese in che sta attraversando, come quasi tutti i Paesi occidentali, un’importante crisi demografica ed è inoltre un Paese con un’economia non solo non paragonabile a quella di Stati Uniti e Cina ma nemmeno a quella di molti Paesi europei, senza contare le sanzioni economiche che frenano ulteriormente l’economia dell’ex Paese sovietico. Offre dunque poco all’Africa, tolte le carte politiche, quelle inerenti agli armamenti e alla cancellazione dei debiti contratti dai Paesi africani verso se stessa.


CONCLUSIONE


Non si può, in conclusione, non evidenziare (se ancora fosse necessario) la centralità del continente africano a livello mondiale. I Paesi più attivi e che vogliono essere protagonisti in questo mondo multipolare, i tre precedentemente in oggetto in questo scritto, si vogliono ritagliare un’area di influenza e di sostegno in un continente giovane, dinamico e che, personalmente, credo abbia molte potenzialità di crescita e di sviluppo. Le (non) condizioni agli aiuti poste dalla Cina in primo luogo e poi dalla Russia sono però una minaccia ad uno sviluppo democratico e moderno della politica e della società africana anche se, di contro, assicurano forse una maggiore stabilità nella, molto spesso, conflittuale società africana.

L’Europa, quella che forse alcuni hanno già bollato come grande assente, si muove tardi e in ordine sparso poiché i Paesi con maggiori legami con l’Africa sono in realtà solo due: la Francia e il Regno Unito (fino a quando non uscirà dalla Ue, se uscirà). Questi due Paesi possono fare leva su legami più che centenari con l’Africa (nel bene e nel male) e dovrebbero lavorare sull’attrattività di un messaggio socio-politico molto positivo e che potrebbe essere il terreno su cui far fiorire uno sviluppo armonico e di lungo periodo dell’intero continente.


I pericoli maggiori, a mio avviso, sono infatti principalmente tre: l’enormità del debito che tutti i Paesi africani stanno contraendo con un soggetto o con l’altro, il permanere di attività di rapina e l’esplodere di attività quali il Land grabbing (l’acquistare o il prendere in leasing di ampie porzioni di terreno, n.d.r.) non fanno altro che gravare ancora di più sul clima e sull’ambiente. Infine, come terzo punto, vi è il togliere possibilità ad un autonomo sviluppo socio-culturale a moltissime società africane, sostenendo la stabilità e lo status quo, sul lungo periodo potrà essere fonte di nuovi e ulteriori problemi per un continente che, forse, ne ha avuti e ne ha fin troppi.


In conclusione, in risposta ai sostenitori dell’aggressivo colonialismo della Francia, il quale non permetterebbe uno sviluppo al continente africano (non si sa però se sociale, economico, culturale o altro), si fa presente che i rischi e le minacce provengono in misura molto maggiore da altri Paesi ed è forse su questi che si dovrebbe far maggiormente pressione a livello internazionale.

In aggiunta, tutti i Paesi interessati (giustamente oserei dire) alle materie prime, fondamentali per produrre e per avere energia, dovrebbero avere come loro principale linee guida la volontà di instaurare uno scambio commerciale equo e sostenibile da entrambe le parti. Chi dovrebbe agire in modo da garantire che tale rotta sia fedelmente seguita sono le popolazioni e, di conseguenza, le classi politiche.


Ad oggi però molto difficilmente si agisce in tale maniera e così si mina il futuro non solo di quel continente ma anche il nostro.







[1] https://www.politico.eu/article/america-war-africa-somalia-kenya-tunisia-and-niger-behind-secret-pentagons/

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