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  • Immagine del redattoreMarco Cencio

Sintomo

Personalmente, sono estremamente contrario a parlare di un argomento, appena questo accade, poiché vi è il rischio concretissimo di ripetere le solite banalità e gli stessi pensieri. Una volta o due può essere fatto ovviamente, cercando però di approfondire il più possibile l’argomento in analisi, mantenendo sempre dinnanzi a sé il proprio obiettivo: analizzare un fatto, informarsi, maturare una propria opinione, ipotizzare alcuni scenari futuri che si ritengono possibili (se pertinente) e, se si vuole e se si hanno i mezzi e le potenzialità, divulgarlo. Alla fine, gli intenti alla base di questo sito sono riassumibili in questi pochi punti.


"Lo scopo di questa introduzione?” vi starete chiedendo. La risposta è molto semplice: i gilet gialli.


Così dicendo, immagino, i pensieri di molti sottolineeranno l’incoerenza tra quello detto precedentemente e ciò che ho appena annunciato. L’intento è però quello di impiegare questo fenomeno, questo momento storico-politico, per andare più a fondo, per provare cioè a capire ciò che io vedo nelle profondità della società non solo francese, italiana e europea ma in tutte le società occidentali. Sfruttare questo fatto come quello che è nel suo significato più puro: l’ennesimo sintomo di una malattia da almeno vent'anni trascurata se non volontariamente peggiorata.


Che cosa vedo, dunque?


Vedo una società in crisi, una società stanca e sfiduciata che si aggrappa a rabbia e paura e, tramite questi moti, pensa di poter sopravvivere e difendersi da ciò che giudica diverso da lei.

La frase appena scritta, me ne rendo conto, è una specie di ritornello talmente cristallizzato da richiamare a sé spesso le solite motivazioni a sostegno di questa tesi.

Vorrei però, come detto, andare oltre, attuando un metodo filosofico, ovvero dividere ciò che può essere definito materiale (commercio, produzione, soldi etc.) da ciò che invece ricade nell'essere immateriale o non materiale (fiducia, fede, speranza, idee etc.). Le crisi possono perciò essere sia di natura materiale che immateriale ma, mi pare evidente, che le società occidentali odierne soffrano soprattutto a causa della seconda.


Proverò ad essere più diretto e chiaro.


Ritengo che ci sia un problema culturale dovuto da un lato ad una continua deculturalizzazione, uno svuotamento culturale delle nostre società rendendo, e dall'altra parte i singoli, gli individui i quali allo stesso tempo sono soli ma con la credenza di essere superiori agli altri e, in questa superiorità, desiderano l’uovo oggi e non la gallina i giorni successivi (per impiegare una metafora efficace).

Sicuramente abbiamo esasperato eccessivamente i valori estremamente positivi e arricchenti derivanti dall'essere società aperte e multiculturali, perdendoci e non riuscendo più a trovare una nostra identità. Questo fenomeno ha portato poi all'individualismo da un lato ed alla corsa ad una nuova riscoperta (frettolosa e sempre più estrema mi verrebbe da scrivere) della propria identità oppure ad una che si presume tale dall'altra. Il potere politico, inoltre, si è distanziato dalla base che lo elegge e lo supporta perché, a mio avviso, tende ad imporre una sua visione netta senza la volontà di ascoltare da una parte e farsi capire dall'altra. Ciò porta a salutare le varie rivoluzioni, i vari cambiamenti con gioia e festeggiamenti e, dopo pochi mesi, a rinnegarli. Macron, Di Maio e molti altri politici sono esempi perfetti sotto questo aspetto.


Dal biennio 1989-1991 dunque è avvenuto lo scontro tra realtà e immaginazione, tra sogni, speranze e il racconto del presente e del futuro ci ha portato ad essere portatori di rabbia, paure, indignazione, indifferenza, rassegnazione e delusioni. Viviamo dentro (e siamo divenuti) una società rancorosa insomma. Rancorosa perché vede società più vigorose e vitali muoversi; perché sente il suo tempo quasi al termine e non vuole sentire ragioni di ridimensionamento e si lancia in tentativi rabbiosi di (creduta) vitalità e riappropriazione di identità, privilegi, prerogative, perdendo però una qualsivoglia bussola valoriale, di fiducia e di appartenenza.


Sotto questa doppia lente, dal mio punto di vista, si possono leggere i movimenti come quello dei gilet gialli (un insieme diversissimo richieste, idee politiche e altro), dei forconi, dei movimenti e dei partiti “populisti” ed estremi sia di sinistra che di destra. Se cinquanta o sessanta anni fa si lottava e ci si identificava in un modello di società per cui lottare, oggi la frammentazione delle democrazie, l’annacquamento dei valori, dei sogni, dei progetti, l’invecchiamento sempre più massiccio della popolazione e la vigliaccheria (io cosi la giudico, anche se il termine corretto potrebbe essere “opportunismo per tirare a campare il più possibile”) nel non voler davvero affrontare i problemi che emergevano, ed emergono tutt'ora, tappando con pezze i buchi ma mai riparandoli definitivamente o cambiando interamente il tessuto, ci hanno portati oggi a queste società violente, rancorose, impaurite dagli altri e da tutto ciò che è cambiamento, fiacche e disarticolate.


Non vedo tutto nero, in conclusione, anzi penso che esistano atti, azioni e gesti equivalenti a farmaci per permetterci di superare questa malattia così debilitante e distruttiva. Sicuramente però si devono compiere inizialmente due passi: il primo è quello di ammettere la malattia, il successivo è chiedersi se almeno si voglia provare a guarire, consci del fatto che farà male.

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